martedì 22 aprile 2014

La pesca con il giacchio nei ricordi di Mario Bernardini

Durante i primi anni della II guerra mondiale, vivere, per le famiglie non abbienti, risultava un problema economico molto serio. La nostra famiglia, composta da undici persone (compreso nonno e nonna), era considerata una delle più povere del paese.

Per questo motivo, io e mio fratello Sauro usufruivano della "refezione scolastica organizzata" e diretta dalle signore bene del paese, le quali per onor di cronaca facevano parte del regime F.



Il dopo scuola per noi ragazzi del paese consisteva nel fare qualsiasi lavoro pur di riportare qualche soldo a casa: questo era l’ordine tassativo di mio padre, il quale, senza badare a scrupoli e sentimentalismi si concedeva il lusso di picchiarci bene se non ottemperavamo ai suoi… ordini! A volte saltavamo anche la cena pur di non prendere le botte.

E siccome la necessità aguzza l’ingegno, mi detti da fare per trovare un lavoretto più retributivo. Sapevo che alcuni importanti pescatori, cercavano dei "bilancini". Erano così chiamati quei ragazzi coraggiosi capaci di remare a scanello e alla veneziana incuranti del freddo, del vento e della pioggia. Fui quindi arruolato (per così dire) dalla famiglia Traica per la pesca con il giacchio.

Era questa una rete circolare con maglie molto fitte alla cui estremità vi erano assicurati dei piombi anch'essi circolari e dei fili molto forti che venivano issati alla parte superiore mediante un anello circolare.

Il lanciatore-pescatore, si poneva a prua della barca e, dopo aver raccolto la rete sopra una tavola, aspettava il momento opportuno per lanciarla. Un attimo prima di aver raggiunto il punto esatto sussurrava "paso" il bilancino virava a sinistra e la rete ampia e rotonda come una grande rosa cadeva in acqua per poi raggiungere velocemente il fondo.

Con dei precisi movimenti poi il pescatore raccoglieva la rete e la issava a bordo formando un sacco in fondo al quale, a volte potevano esserci parecchi kg. di pesce.

Il pesce pescato durante la stagione invernale si chiamava "la laschina".

A quei tempi il nostro lago era ricco di fauna e di flora. Sulla parte destra del lago (tra la Panicarola, Sanfatucchio e il cimitero del paese) estesi e fitti canneti permettevano il ripopolamento del pesce: tinche, lucci, capitoni, anguille, regine, carpe e tante altre specie di pesce potevano riprodursi perché avevano il loro habitat giusto in mezzo a questi canneti i pescatori avevano praticato dei "cainoni", strade d'acqua che permettevano lo scorrimento delle barche quasi fino alla terra ferma sulla destra vi erano collocate delle arelle intervallate ogni cinque o sei da un passaggio nel quale i pescatori mettevano delle reti rotonde a forma di imbuto chiamate "martavelli".

Al mattino presto (sul fare del giorno) queste reti venivano ricercate, (termine prettamente peschereccio) ed era molto facile trovarvi dentro dei grossi capitoni o lucci ecc. ecc.

Il giacchio veniva usato molto anche durante l'estate. Nelle calde serate di luglio e agosto i pescatori solevano gettare davanti ai canneti delle giangiate. Erano queste delle palle rotonde (come o simili a quelle delle bocce) composte da sterco, crusca, granturco, grano e altre sostanze. Una volta raggiunto il fondo, queste composizioni venivano aggredite e mangiate da grossi pesci. Verso mezzanotte ci si avvicinava senza fare il minimo rumore al punto e, dopo aver dato il "paso" il lanciatore gettava il giacchio che si apriva a ombrello sopra il punto.

Alla raccolta e all'arrivo in superficie della rete uno spumeggiare d'acqua stava a significare della generosità della pesca, composta a volte di grosse regine anche di grosso peso.

Questa pesca si protrasse anche durante il dopoguerra fino a scomparire gradualmente per sempre intorno agli anni cinquanta.

Mario Bernardini classe 1929



[Il testo riprodotto qui sopra (il titolo era "Il giacchio e le sue risorse"), fu scritto da Mario Bernardini intorno all'anno 2000. Il manoscritto fu consegnato a Guido accompagnato da un biglietto che riportava: «Caro Guido, allo scopo di aiutarti nella tua sana e giusta ricerca di possibili scritti concernenti il ns. lago, prima durante e dopo la seconda guerra mondiale, eccoti un piccolo contributo dal quale (spero) tu possa trarre qualche spunto utile al tuo scopo. Ciao Mario».]

5 commenti:

  1. Grazie a Guido per aver conservato e pubblicato questo bellissimo "racconto" di Mario Bernardini.

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  2. Questa lettera è molto bella, grazie a Guido Materazzi per averla conservata e pubblicata... Ho chiesto a mio figlio diciottenne, di leggerla, è difficile trsmettere le nostre radici ai nostri figli. La prima cosa che mi ha detto è che lui al " Pescatore" ci va solo di venerdì :) e che sono passati oltre 70 anni ..e non gli è piaciuto molto il fatto delle "botte" e degli ordini..impartiti dal padre di Mario, ma era prevenuto pensando, erroneamente, che fosse quello che io volessi mettere in evidenza, è normale, il contrasto generazionale e la ribellione è insita negli adolescenti è giusto così. Mi dispiace solo che oggi non ci siano più i "nonni di una volta" a mantenere la memoria narrando ai propri nipoti le nostre radici, i nonni sono ascoltati molto più dei genitori... Purtroppo oggi, i nonni di Castiglione, sono tutti " indaffarati" al centro anziani e non hanno più il tempo di cantar storie... Mario è stato mollto preciso nel tramandarci il periodo storico e come si usava il giacchio.E' bello ricordare due grandi persone come Mario e Sauro Bernardini e sono sicuro che anche a mio figlio di questa lettra è restato qualcosa..anche se mio nonno non era un pescatore.

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  3. Anche la famiglia Traica è ricordata in questa lettera Duilio e Mario. Altre dugrandi persone..forse che il lago generoso, non forma solltanto il pescatore, ma anche il suo cuore..

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    1. scusate sul post sopra ci sono due piccoli errori di trascrizione che non posso più correggere, me ne sono accorto dopo che ho messo gli occhiali.. :)

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  4. mi sembra un ricordo molto interessante che contestualizza abitudini e pratiche, comunque bello

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