Delle Lenze
Grande oltre ogni credere è la voracità dei pesci. Le alghe e le erbe acquatiche che vegetano sul fondo del lago, i vermicciuoli che brulicano sotto i ciottoli presso la sponda, e gli insetti che dall'atmosfera cadono sulla superficie delle acque, tutti servono di alimento ai pesci, che piccola sortirono la bocca; ma quelli, cui natura fornì di bocca maggiore, amano cercare più lauta preda in altri pesci, movendo loro atroce ed incessante guerra, inseguendo e divorando a preferenza i più piccoli, non eccentuati gli individui della propria specie. Né raro è il caso di vederne qualcuno, boccheggiante, vittima della propria ingordigia, tener sporgente né poter ingollare un altro pesce, che non cape nella sua bocca e quasi lo pareggia in grossezza.


Divorare ed essere divorato è la legge cui la natura ha condannato il pesce. La sua vita altro non è che una scena di paure, di aggressioni, di fughe, di ostilità. Sempre affamato e insaziabile, va senza posa in busca di cibo: affronta i perigli, ed essendo privo del nervo che è l'organo del gusto, quasi indistintamente abbocca tutto ciò che incontra. E tale è la sua ingordigia, che sovente ritorna a quello stesso uncino che poco prima l'avea arrestato, ed anche tratto fuor d'acqua e lottante colla morte, avidamente inghiotte l'esca che tu gli appresti. Da questa cieca voracità dei pesci, l'uomo trasse per sé utile partito, ed ebbe origine la pesca della lenza.
Se all'estremo di lunga funicella tu attacchi un piccolo uncinetto, e questo ricopri di esca opportuna, poi lo getti nelle acque, tosto intorno intorno gli si aggireranno varii pesci, finché il più ardito od affamato, inghiottendo l'esca, resterà preso all'uncinetto, sì che tu di leggeri coll'altro estremo della funicella stretto alla canna lo potrai trarre alla riva. Ecco la lenza o la pesca all'amo.