Quello che segue è il resoconto di una giornata all'Isola Maggiore scritto nel 1982 da Cesare Brandi, pubblicato postumo con il titolo "L'isola maggiore del Trasimeno" nella raccolta "Terre d'Italia", Editori Riuniti, 1991.
Un'isola che è come un pezzo di bosco che ha rotto gli ormeggi e s'è staccato da riva. Verde, d'un verde gentilmente cinereo, con appena qualche cipresso e molti ulivi che accendono quel cinereo d'argento. Sulle acque del lago che sanno di laguna e nelle leggere crespe riflettono un cielo appena cilestrino con un sottofondo di seta, avana, quest'isola, che è preceduta da un'isola minore, più ricca d'alberi nobili, con i pini e i cipressi, è un approdo come sottovoce, una presenza appena dichiarata, di maggiore non ha che l'estensione* rispetto alle altre due. Ma l'aria è limpida su questa macchia mediterranea e questi ulivi, l'aria si insinua come un respiro a fior di labbra, una voce spenta. Quei lecci, all'arrivo, fanno ressa, assicurano la tranquillità, non c'è che una breve strada che di sopra e di sotto si allunga in un viottolo sterrato, proprio sull'orlo del lago. Invece, dove è strada, è pavimento di ferretti, d'un bel colore rosa: sono nuovi perché rinnovati da poco, e non li rovina ruote di veicoli, gli unici essendo rare biciclette; le case, di qua e di là sono anch'esse restaurate, in genere con amore, e stanno ai bordi come un rio tera' veneziano. Stanno come se fossero abituate a riflettersi nell'acqua e non lo possono far più. In tutto saranno duecento metri.