mercoledì 28 gennaio 2015

L'abbandono delle regole tradizionali di gestione delle risorse lacustri. Il coraggio di ripensare il futuro



di Ermanno Gambini

Incontro: Come prosciugare il Trasimeno: tre secoli di politiche per la gestione dei livelli delle acque, Castiglione del Lago, 29 novembre 2014.

Il Trasimeno è un grande lago laminare di origine tettonica. La depressione che lo accoglie si è formata oltre 1 milione di anni fa. Lo specchio d'acqua ha una superficie di circa 120 kmq a cui corrisponde una profondità molto esigua: quando il pelo dell'acqua sfiora lo zero idrometrico dell'emissario artificiale di S. Savino (m 257,33 s. l. m.) il livello massimo rilevato non supera i 6 m. Il Trasimeno è una lama d'acqua sospesa sopra una coltre di sedimenti spessa fino a 600 m, composta da depositi marini, fluviali e lacustri. Nei sedimenti profondi si può leggere la storia dell'intero Quaternario (Gasperini et al. 2010, pp. 164-174; Cattuto et al. 2011, pp. 3-5, 361-367).

La morfologia dei fondali del Trasimeno consente che pochi metri di oscillazione verticale di livello determinino movimenti notevoli della linea di costa provocando il passaggio dalle condizioni di lago a quelle di stagno e viceversa.

Nei primi strati dei depositi presenti lungo la fascia costiera sono sepolti antichi bagnasciuga: da scavi e dragaggi negli ultimi decenni sono emerse varie tracce archeologiche che documentano la frequentazione e l'insediamento umano negli ultimi millenni. Nell'età del Bronzo (medio-finale), nel periodo etrusco-romano e nelle fasi centrali del Medioevo il lago ha conosciuto lunghi periodi caratterizzati da livelli medi inferiori agli attuali (Cattuto et al. 2011, pp. 7-14).

In età comunale il Trasimeno viene gestito da Perugia come un bene prezioso da cui si possono ricavare notevoli introiti. La pesca, la caccia, il taglio delle piante palustri, la coltivazione dei terreni spondali e delle isole, tutti questi diritti vengono ceduti temporaneamente a privati in cambio di un lauto canone.

Il confine tra la proprietà pubblica e quella dei possidenti privati viene stabilito -in continuità con il diritto romano- sul perimetro lacustre raggiunto nelle piene consuete. Nello Statuto in latino del 1279 (Caprioli 1996), e poi in quello in volgare del 1342 (Degli Azzi 1916), è previsto che su questo confine siano apposti dei termini, ovvero dei pilastri in pietra e calce, che debbono essere guardati dalle comunità del lago. Il Trasimeno, grazie a questa scelta molto oculata, è in grado di immagazzinare nei periodi piovosi una quantità di acqua supplementare utile a sopportare senza molto danno i periodi di scarse precipitazioni.

Ovviamente i terreni spondali, le pedate, nei periodi in cui il livello delle acque cresce sensibilmente sono soggetti a perdere in tutto o in parte il loro fruttato agrario. Da qui il famoso proverbio: "il lago affitta, ma non vende", e un altro meno noto: "pescare le lasche in mezzo ai fagioli".

Nei tre secoli e mezzo di Governo Pontificio, dopo la morte di Braccio da Montone (il Signore di Perugia che nel 1421-'22 aveva fatto costruire un emissario artificiale per smaltire le acque in esubero), si amplia e si consolida l'impianto normativo per la tutela e lo sfruttamento del Lago di Perugia. La sua parte migliore risiede nei contenuti funzionali al controllo, allo sfruttamento e alla tutela del lago e delle sue risorse. Gli amministratori dimostrano di possedere un'invidiabile conoscenza di questo ambiente e una grande considerazione del valore che le sue risorse costituiscono per la città e il suo territorio, come emerge dagli statuti e dalle cedole di appalto. La Cedola promulgata da Papa Pio V nel 1568, è il primo atto di vendita dei "frutti delle acque del lago" redatto a stampa. Esso contiene un vasto corredo normativo relativo alla gestione del Trasimeno, con un totale di 115 articoli (Polimanti 1931, pp. 5-51).

Fig. 1 - Pianta della Terminazione delle pedate del Trasimeno della Comunità di Tuoro del 1762

Per quanto concerne la terminazione delle pedate le regole cambiano. L'innalzamento del livello medio delle acque a partire dal secondo decennio del Quattrocento rende poco produttivi i terreni spondali quasi sempre sommersi non vengono appaltati, ma concessi dai papi a loro parenti senza un utile significativo per la Camera Apostolica. Le cosiddette "pedate d'acqua" (la fascia costiera, ricca di piante palustri, raggiunta dalle acque) nel secondo Cinquecento vengono concesse da Papa Pio V al Marchese Marco Antonio Florenzi e ai suoi eredi in enfiteusi in cambio di un canone annuo. Il confine con le "pedate di terra" (i terreni che si estendono dalle vie circumlacuali verso il lago) viene stabilito dal variabile perimetro delle acque. Questo limite mutevole crea continue dispute tra i Florenzi e i proprietari confinanti soprattutto per il taglio delle piante palustri. Per risolvere il lungo contenzioso si giunge alfine ad una sentenza, emessa dal Chierico Decano M. Magi e pubblicata il 30 gennaio del 1751, che torna a stabilire il confine sul perimetro raggiunto dalle acque del lago nel loro livello medio, richiamando così l'impostazione seguita in epoca comunale. Nel 1762 Anselmo Ludovico Avellani, pubblico geometra mappale, realizza 15 mappe relative ai terreni spondali delle Comunità del lago, esclusi quelli del Marchesato di Castiglione del Lago. In questa raccolta, denominata Pianta della Terminazione delle pedate del Trasimeno del 1762 (il documento originale è custodito presso l'Archivio storico del Comune di Tuoro sul Trasimeno) sono segnati e numerati, comunità per comunità, i termini di confine. Il rilievo è compiuto nell'ottobre 1762 e di conserva si provvede, a cura del perito Pietro Sardi, a porre i pilastri sul terreno (Danzetta Alfani 1882, p. 99), in numero di 513, lungo la quota di m 259,80 s. l. m. (112 cm al di sopra della misura della soglia dell'emissario di Braccio da Montone) che viene segnata sulle mappe unendo i punti che contrassegnano i termini (fig. 1). Per stabilire questa misura si fa riferimento a varie fonti e in modo particolare all'autorità di Padre Benedetto Castelli -idraulico ufficiale del Governo Pontificio- che il 18 giugno 1639 scrive così a Galileo Galilei:

"A' giorni passati, ritrovandomi in Perugia, dove si celebrava il nostro Capitolato Generale, avendo inteso che il Trasimeno, per la grande siccità di molti mesi, era abbassato assai, mi venne curiosità di andare a riconoscere questa novità, e per mia particolare soddisfazione, ed anco per poter riferire a' padroni il tutto con la certezza della visione del luogo. E così giunto all'emissario del lago, trovai che il livello della superficie del lago era abbassato di cinque palmi romani" [pari a m 1,12] "in circa dalla solita sua altezza, in modo che restava più basso della soglia dell'imboccatura dell'emissario".

Vari riscontri permettono di stabilire che questo fu effettivamente il livello medio delle acque del lago nel lungo periodo compreso tra il secondo decennio del Quattrocento e la fine dell'Ottocento, all'entrata in funzione del nuovo emissario. Molto rari, e in genere brevi, furono i periodi caratterizzati da scarse precipitazioni e quindi da livelli inferiori alla soglia dell'emissario di Braccio (1421-'22 – m 258,68 s.l.m.). Questa fase fu caratterizzata da ricorrenti piene, talvolta notevoli e prolungate, con gravi danni alle campagne e agli stessi abitati (fig. 2).

Fig. 2 - Livelli del Trasimeno dal secondo decennio del Quattrocento al 1881.

I castelli posti lungo la riva del lago erano stati costruiti prima degli inizi del Quattrocento: alcune porte e vie pubbliche antiche di Passignano, S. Feliciano e Borghetto venivano di norma minacciate dall'acqua; quando il lago era in piena l'acqua penetrava all'interno degli abitati. Durante l'esondazione straordinaria che culminò nell'anno 1602 Borghetto rimase a lungo completamente inondato. I vecchi del paese ricordano di aver sentito raccontare che durante l'ultima piena del 1888 quanto tirava vento di scirocco l'onda scrosciava nella piazza. Fu realizzato allora un camminamento con una fila di grosse pietre per raggiungere l'ingresso della chiesa (Cattuto et al. 2011, pp. 17-45).

La gestione del lago subì seri contraccolpi quando la Cedola di Papa Pio V fu abolita dal Governo Repubblicano, in un breve periodo durante l'occupazione francese "in nome dei principi di libertà economica" (Speroni 2010: 117). In una Notificazione che reca la data del 30 settembre 1799, si legge:

"La Reggenza del Governo Provvisorio di Perugia avendo riconosciuti evidentemente i gravi disordini, ed i molti sconcerti con pubblico danno, che ne sono derivati dalla soppressione ordinata dal passato Governo Repubblicano dell'affitto del Lago Trasimeno; sconcerti di danno all'interesse di questo Governo, che aveva perduto l'annua corrisposta dell'affitto, senza verun sollievo della Popolazione, anzi con aggravio della medesima per l'ingordigia dei Pescatori e dei Pescivendoli, quali profittando delle circostanze, hanno venduto il Pesce, ad un prezzo esorbitante, benché fosse tolta la solita Gabella; Sconcerti anche maggiori per la perdita totale del genere cui si andava incontro nel giro di poco tempo in conseguenza della libertà concessa a qualunque persona di ogni ceto, e condizione di pescare il pesce in tutte le stagioni di ogni specie, anche in tempo della sua procreazione, qual libertà avrebbe prodotto senza rimedio un totale spesciamento del Lago; e finalmente sconcerti nel buon regolamento e nella pubblica quiete e tranquillità per gl'inconvenienti, per i clamori e per le risse, che di continuo insorgevano fra i veri Pescatori, ed i Contadini, i quali volevano del pari godere la libertà di pescare […]".

Al fine di risolvere i problemi sopraggiunti, i componenti la Reggenza del Governo provvisorio di Perugia stabilirono di riaffidare il lago ai soggetti che tre anni prima avevano ottenuto la conduzione dal Governo Pontificio in affitto per 9 anni; quindi, tale affidamento fu concesso per altri 6 anni a far data dal primo di ottobre 1799. Per ritrovare il buon ordine essi comandarono:

"Che i predetti Conduttori richiamino all'intiera osservanza la Cedola del Sommo Pontefice San Pio V, sopra il Lago Trasimeno di Perugia […]" (Raccolta di scritti intorno al Lago Trasimeno 1845: 40).

Bastò allora ignorare per pochi mesi le regole, a lungo sperimentate, per la corretta conduzione della pesca, per mettere a rischio il patrimonio ittico del Trasimeno.

Questo è certo un episodio significativo, ma ben altri sconvolgimenti si preparano per il Trasimeno. A cavallo tra Sette e Ottocento per la prima volta viene messo in dubbio un asserto ritenuto fondamentale nei secoli precedenti: ovvero che il lago costituisca una risorsa del territorio perugino da curare attentamente per mantenere e incrementare i profitti legati alle attività produttive tradizionali. Il lago diventa un bene strumentale: può fornire terra all'agricoltura e acqua per irrigare i campi. È questa una prospettiva nuova che avrà, con alterne vicende, continuità fino ad anni recenti.

In un primo momento, nei primi anni Settanta del Settecento, si studiarono soluzioni ai problemi causati dalle piene e dai livelli medi elevati del lago, che nel corso del Quattrocento si era cercato inutilmente di risolvere con la costruzione dell'emissario bracciano e con la deviazione dei torrenti Tresa e Rio Maggiore -tributari del Trasimeno- verso la Chiana. Vennero presentati alcuni progetti per migliorare la funzionalità dell'emissario medievale o per ricostruirlo in parte a cielo aperto. Il costo elevato delle opere non consentì però la loro realizzazione. Altra soluzione proposta fu quella di far defluire parte delle acque del lago verso la Valdichiana, ma mancò l'accordo tra il Governo Pontificio e quello del Granducato di Toscana: le acque del Trasimeno non furono ritenute sufficienti a garantire il flusso costante ad un nuovo canale emissario e al vecchio a cui erano sottoposti molti mulini.

L'interesse dei privati si rivolse invece a fini speculativi e solo la fermezza del Municipio di Perugia prima, e della Provincia dell'Umbria poi, lo salveranno da una fine prematura.

Esemplari al riguardo le iniziative prese dal Marchese Ettore Florenzi, la cui casata deteneva le pedate, ovvero le terre spondali del Trasimeno a valle della quota di m 259,80 s. l. m. Già nel 1827 egli aveva fatto redigere una stima per conoscere il fruttato che si sarebbe potuto ricavare disseccando il lago e riducendolo a coltivazione (Danzetta Alfani 1882, p. 103). Nel 1832 fece giungere la sua proposta, a firma dell'ing. Matteo Livoni, per la costruzione di un nuovo emissario con un livello di soglia di m 3 inferiore al precedente, in grado di smaltire le piene del Trasimeno e di ampliare e consolidare le proprietà circostanti. L'ingegnere propose di realizzare l'opera seguendo la linea della Cava del Lago eliminandone le tortuosità. Il cunicolo avrebbe dovuto raggiungere l'ampiezza di m 3 e l'altezza di m 4,10-4,30; una volta di mattoni a tutto sesto avrebbe coperto la volta, per uno spessore di m 0,40, e un selciato il fondo. L'ampiezza della fascia costiera posta all'asciutto a seguito del funzionamento di questo nuovo emissario sarebbe stata compresa tra 280 e 400 m (fig. 3). Dopo aver calcolato l'ampiezza, la produttività e quindi il valore di queste terre spondali, l'ingegnere chiarì che esse avrebbero dovuto essere acquisite dall'"Intraprendente", ovvero da colui che si sarebbe assunto l'onere dell'opera stessa, quindi dal Marchese Ettore Florenzi (Livoni 1832). Il progetto Livoni-Florenzi fu respinto dalla commissione nominata dal Municipio di Perugia. La risposta giunse a mezzo di una Relazione a firma dell'ing. Luigi Menicucci in data 20 luglio 1832 (Menicucci 1832). I commissari eccepirono che, se un progetto siffatto fosse stato accolto, la prospettiva sarebbe stata quella di ridurre il lago ad una palude privandolo del movimento che ne costituisce la sanità. L'alternativa proposta fu quella di abbassare la soglia dell'emissario di un solo metro, ma l'intento di Ettore Florenzi era quello speculativo e tutto cadde nel vuoto.

Fig. 3 - Progetto dell'ing. Matteo Livoni per il nuovo emissario (1832).

Con la diffusione anche nel nostro territorio della coltura del mais, gli agrari scelsero di dirottare l'alimentazione dei contadini verso questo cereale destinando una maggiore superficie di terreno al frumento per la vendita, con buoni ricavi, nei mercati cittadini. È questa una delle ragioni della "fame di terra" di quegli anni, a cui si associa la drastica riduzione degli investimenti dei possidenti nelle pesche con impianti fissi presenti al Lago di Perugia (Cattuto et al. 2011, pp. 101-164). Con la fine del Governo Pontificio le rese della pesca diminuirono rapidamente a causa dell'allentarsi dei controlli. Le catture di lasche nel periodo della frega e in quello estivo causò la riduzione sensibile di questa specie (Danzetta Alfani 1882: 128).

I fautori della bonifica premevano sull'opinione pubblica e sul Ministero dell’Agricoltura portando a sostegno delle proprie tesi la necessità di eliminare gli impaludamenti delle rive del lago che erano causa di gravi epidemie di febbri malariche. Il numero degli ammalati e quello dei decessi erano in realtà simili a quelli riscontrati nelle vallate circostanti (Mariotti, Bernardi 1790, pp. XXXIII-XXXVI; Bruschi 1864, pp. 29-38). Il parere medico del prof. Alessandro Bruschi indicò quale fosse realmente la dimensione del problema. Lo specialista, al contrario dei medici condotti dei comuni di Castiglione del Lago, Tuoro e Passignano, fornì dati statistici sui decessi avvenuti nelle varie parti del Regno d’Italia nell’anno 1862. Da essi risulta che "la salubrità della Provincia dell’Umbria è maggiore in confronto a quella di ogni altra, avendo avuto una minore proporzione di decessi, ossia solo il 2,74%". Egli scrive che non risultano affatto le spaventose mortalità di cui parlano i colleghi medici condotti, senza portare a sostegno alcun dato statistico. I valori medi di mortalità della popolazione del Trasimeno raggiungono il 2,71% e quindi sono inferiori a quelli riscontrati in Umbria. Solo a Tuoro vengono rilevate mortalità superiori a quelle medie del territorio lacustre.

Per decenni i casi di malaria furono mal diagnosticati e confusi con quelli di pellagra. Questo morbo si manifestò con durezza nel corso dell'Ottocento in diretto rapporto con l'impoverimento della dieta della popolazione: quella dei contadini più poveri consisteva allora quasi esclusivamente in torta di granoturco. Il dato risulta chiaramente, per il territorio del Trasimeno, da un'indagine compiuta dal medico Roberto Adriani (Adriani 1880, p. 8). Egli era il direttore del Manicomio di Perugia ove venivano ricoverati i pazzi pellagrosi.

Con l'aumento sensibile della popolazione tra gli anni Venti e Cinquanta dell’Ottocento il granoturco, detto localmente formentone, fu seminato prima soprattutto nei terreni più poveri ove si coltivavano i cereali inferiori, poi anche nella bassa collina e pianura in rotazione biennale con il grano sostituendo la maggese. Il suo utilizzo nell'alimentazione umana fu accolto con riluttanza dalle classi più povere in quanto il mais era utilizzato per nutrire gli animali, ma poi fu più forte lo stato di necessità legato alla forte crescita demografica. La coltura del granoturco offriva raccolti consistenti con un limitato impiego di sementi. Da uno studio del 1876 risulta che questo cereale era coltivato in spazi analoghi a quelli dedicati al grano.

Questa vicenda è stata molto ben documentata da Lamberto Lesti -che ringrazio per la cortese disponibilità- in un suo approfondito studio sugli Aspetti dell'alimentazione nel Perugino nell'Età Moderna (in corso di stampa). In pratica accadde che, mentre i possidenti, divenuti fautori della bonifica del Trasimeno, da un lato invocavano un intervento che risolvesse i gravi problemi sanitari di questo territorio, dall'altro essi stessi avevano contribuito ad accrescerli.

Progetti di bonifica totale furono presentati in quegli anni da Bonfigli e da Ricci e Baduino: le canalizzazioni previste erano progettate in modo da far defluire le acque del Trasimeno verso il Tevere e l'Arno. Altri proposero di ridurre il lago ad uno o più serbatoi di raccolta dell'acqua a fini irrigui: ricordiamo il lavoro di Brocchi e Cora, presentato da Barilari nel 1865 (Borgia 1867, All. E)(fig. 4), e quello del francese C. Du Houx in cui compaiono addirittura tre bacini di ritenuta (Du Houx 1772). Nessuna delle proposte fu accolta. La commissione di nomina prefettizia che esaminò i progetti lasciò intendere che per una razionale bonifica fosse da auspicare un ritiro parziale delle acque al fine di raggiungere i vantaggi desiderati senza provocare i temuti inconvenienti.

Fig. 4 - Progetto Brocchi e Cora, presentato da Barilari nel 1865.

Nella primavera del 1876 il livello del lago era cresciuto notevolmente. Le acque in certi ambiti avevano superato la ferrovia realizzata da pochi anni; tra Castiglione del Lago e Borghetto la linea di costa era risalita di 700 m rispetto ai periodi caratterizzati dalle maggiori magre. In estate, il ritiro delle acque aveva provocato poi l'impaludamento di vaste aree. Il Consiglio della Provincia dell'Umbria, nella seduta del 18 settembre 1876, deliberò di accogliere la proposta del consigliere Giuseppe Danzetta Alfani per ottenere la ricostruzione e l'ampliamento del canale emissario esistente ripartendo le spese così come previsto dal Motu-Proprio di Pio VII del 1822 (art. 138 – Polimanti 1931: 83), ovvero 2/6 a carico dell'Amministrazione dello Stato, 2/6 a carico dei proprietari frontisti al lago, 1/6 a carico degli adiacenti frontisti e 1/6 a spese dei proprietari dei mulini dell'emissario. Fu chiesto l'intervento del Regio Governo.

Anche in base alle conclusioni della commissione prefettizia, cominciò a prendere consistenza la proposta di un ritiro razionale proposto dai soggetti "interessati" riuniti in un Consorzio. Alla prima riunione dell'Assemblea, presieduta dal Barone G. Danzetta Alfani, a Passignano parteciparono 78 possidenti. Era il 23 novembre 1876. Circa venti anni dopo, al termine di un percorso molto tormentato, sarà dato avvio alla costruzione del nuovo emissario del lago.

Il verità per alcuni anni si lavorò per restaurare l'opera di Braccio. I tempi e i costi di realizzazione sarebbero stati notevolmente inferiori. Nel 1877 Guido Pompilj scrisse:

"E sapienza vuole che non si lasci mai il certo per l'incerto. Onde poi che per la Cava attuale si può agevolmente e presto e con lieve spesa ottenere l'intento, solo chi avesse vaghezza di fabbricar castelli in aria o di menar il can per l'aia, potrebbe sostenere l'abbandono dell'ottima via che ha preso da secoli l'acqua del Lago andando così alla ventura in cerca di un'altra, che sconvolgerebbe tutto l'ordine di natura di mezza Umbria o mezza Toscana. Il progetto, per ora solamente di massima, da noi presentato, è assai buono secondo il giudizio nostro e quello di persone peritissime della materia idraulica; attuando l'opera, come quivi si trova disegnata e proposta, noi siam persuasi di conseguire non solo tutti gli utili e benefizi ripromessi, e di appagare il voto secolare di popolazioni mirabilmente rassegnate e pazienti, ma di dare altresì finalmente un aspetto degno di tempi civili all'Emissario di un Lago, che si novera pure tra i più grandi e famosi d'Italia" (Pompilj 1877: 23-24).

Il 23 settembre 1877 il Consorzio fu costituito con alla presidenza Guido Pompilj. Il 25 giugno 1882 venne approvata la Legge 869 sulle bonifiche delle paludi e dei terreni paludosi. Il 2 luglio 1885 il Re d'Italia Umberto I, con proprio decreto, consentì che le opere di bonifica delle gronde del Lago Trasimeno fossero classificate, a norma della Legge sopra citata, di prima categoria, ovvero necessarie per il miglioramento delle condizioni igieniche e non solo agrarie del territorio. Fu ottenuto così di finanziare l'opera di bonifica del Trasimeno con il contributo dello Stato per il 50%, del Consorzio per un quarto, della Provincia di Perugia per un ottavo e dei Comuni per la stessa percentuale. I sani propositi espressi in precedenza furono dimenticati. Il Trasimeno avrebbe avuto un emissario nuovo, indipendente dal precedente, con una portata notevolmente superiore.

Altra questione importante da risolvere fu quella relativa al confine da attribuire alle proprietà dei frontisti a seguito dell'entrata in funzione del nuovo emissario. Nell'atto di transazione, stipulato il 30 dicembre 1893 fra il Demanio dello Stato e i soggetti interessati, venne stabilito che tale confine fosse la linea di costa determinata dal livello di m 258,68 s. l. m., ovvero dalla quota della soglia dell'emissario tardo-medievale, con effetti a partire dal compimento del progetto di bonifica. La fascia costiera, emersa a seguito del funzionamento del nuovo emissario, doveva andare a costituire una proprietà demaniale e di conseguenza si pensò di dover apporre nuovamente dei termini di confine (Chierico 2003: 67-68). L'abbassamento di livello del lago non avveniva per via naturale, ma artificiale, quindi i terreni liberati dalle acque non potevano essere acquisiti.

La determinazione del dicembre 1893 tornava, in definitiva, a regolare la gestione delle pedate del Trasimeno sulla base dei criteri che erano stati consueti nell'età comunale, creando una fascia demaniale di rispetto tra le proprietà private e la linea di riva, un corridoio di ampiezza inferiore rispetto al passato, visto che l'obiettivo perseguito era quello di mantenere il più possibile il lago ad un livello costante.

Fig. 5 - Livelli massimi e minimi annuali del Lago Trasimeno dal 1882 al 2014 (Gambini, Massarelli 2014 mod.).

Linea fucsia. (1882-1920). Livelli massimi e minimi annuali (valori relativi alle medie mensili) rispetto alla soglia dell'emissario Pompilj (m 258,42 s.l.m.).
Linea azzurra. (1921-1968). Livelli idrometrici massimi e minimi annuali (misurazioni compiute il primo giorno di ogni mese).
Linea arancione. (1969-2014). Livelli massimi e minimi annuali rilevati all'idrometro di S. Savino posto a m 257,33 s.l.m.
Linea tratteggiata verde. Livello medio tra i secc. XV-XIX pari a m 259,80 s.l.m.
Linea blu scuro. Quote della soglia dell'emissario dal 1882 ad oggi.
Linea tratteggiata blu scuro. Periodo in cui dovrebbe essere avvenuto l'abbassamento della soglia dell'emissario, da m 258,42 a m 257,66 s.l.m.

Purtroppo questa decisione e questa previsione, nel volgere di alcuni anni furono vanificate da nuove determinazioni prese a seguito delle pressioni esercitate dai possidenti. Nel 1903 per la prima volta i livelli massimi e minimi del lago scesero al di sotto della nuova soglia di sfioro stabilita -26 cm al di sotto di quella tardo-medievale. Dopo cinque anni il lago aveva perduto circa 2 metri di livello (fig. 5). La posa dei termini di confine non era stata compiuta, in attesa che, a seguito del funzionamento del nuovo emissario, le acque si stabilizzassero intorno al nuovo livello della soglia. Nel 1907 le parti convennero che le pedate un tempo soggette ad essere invase dalle acque andassero censite in quanto, grazie alla bonifica, erano ormai dei terreni produttivi. Solo la parte più vicina alla riva doveva lasciarsi senza estimo. Questo accordo fu proposto dal Consorzio e alfine accettato anche dal Demanio. Venne nel contempo concesso ai proprietari terrieri il diritto di taglio delle piante palustri.

"Nell'adunanza della deputazione amministrativa del 30 agosto 1909, il Presidente Pompilj comunicò che tutti i lavori con il Demanio si erano conclusi con felicissimo esito. Il Demanio aveva ceduto ai proprietari frontisti in base agli ultimi accordi, in vendita, a corpo e non a misura, le proprie zone" (Martinelli 1993: 34-40).

Da questo memento in poi il lago non avrà più una fascia demaniale di rispetto.

I livelli massimi del lago, nonostante il funzionamento dell'emissario, a seguito delle notevoli precipitazioni cadute nel 1915 e nel 1916, salirono fino a raggiungere nel 1917 la quota di m 259 circa s. l. m (fig. 5). Tornarono ad emergere, probabilmente, vecchie paure: il lago in risalita metteva a rischio il nuovo equilibrio faticosamente raggiunto. Le conseguenze furono queste. Ad un riscontro, recepito negli Annali del Genio Civile del 1928, risultò che il livello della soglia dell'emissario era stato portato a m 257,67 s.l.m. La quota di sfioro dell'emissario era stata abbassata in totale di circa 1 metro, non di 26 cm, come stabilito. Dopo 25 anni dall'entrata in servizio del nuovo emissario il lago aveva perduto circa 3 m di livello e 10 kmq di superficie.

Nessuna opera di riequilibrio fu realizzata, né contestualmente all'opera del nuovo emissario né nei decenni che seguirono, come avrebbe invece dovuto suggerire l'entità degli interventi compiuti. Le proposte formulate a partire dalla fine degli anni Venti (Luiggi, Ugolini 1928), che prevedevano la deviazione verso il Trasimeno della Tresa e del Rio Maggiore, furono sempre sollecitate a fini irrigui. I terreni sottratti al lago dovevano essere consolidati e se possibile ampliati.

Negli anni Venti ormai le pesche con impianti fissi alle lasche erano state abbandonate. Nel 1917 l'Amministrazione del Lago si era ritirata dall'impresa: le catture erano insufficienti a sostenere i costi. Subito dopo anche i concessionari dei pòrti abbandonarono gli impianti fissi che già avevano cominciato a trascurare nel secolo precedente. Le ampie fasce costiere ove avveniva la riproduzione delle lasche, in pochi anni rimasero all'asciutto e furono messe a coltura. A Passignano su queste aree spondali dove pochi anni prima si catturavano le lasche fu costruita la S.A.I. (fig. 6); a Castiglione del Lago la porzione a valle del nuovo Aeroporto Eleuteri occupò i terreni liberati dalle acque (fig. n 7) (Alegi, Varriale 2001, p. 38).

Fig. 6 - Passignano sul Trasimeno, S.A.I. (Primi anni '20 del '900).
Fig. 7 - Castiglione del Lago, Aeroporto Eleuteri (Primi anni '20 del '900).

Quella che era stata l'economia tradizionale del Trasimeno per secoli, dopo 150 anni di tormentata transizione era stata disgregata: la pesca imprenditoriale era ormai perduta. Restarono per alcuni anni ancora i concessionari degli impianti delle arèlle per la cattura delle anguille alla Valle di S. Savino. Poi nella seconda metà degli anni Cinquanta la Valle si asciugò completamente (figg. 8 e 9) (Ministero dei Lavori Pubblici 1958); le strutture da pesca furono poste sul lago aperto. Quando il lago tornò a crescere erano già arrivate sul mercato le nuove fibre sintetiche con reti direzionali e cogolli di grandi dimensioni: alla Valle le arèlle non furono reimpiantate. In questo particolare ambiente umido furono abbandonate gradualmente anche le cure e il controllo dell'uomo.

Fig. 8 - La Valle completamente asciugata (Ministero dei Lavori Pubblici 1958).
Fig. 9 - La Valle completamente asciugata (Ministero dei Lavori Pubblici 1958).

Dopo le due episodiche piene del 1938 e del 1941 il livello del lago scese nuovamente sotto il livello della soglia. La crisi di livello nella seconda metà degli anni Cinquanta raggiunse veramente aspetti drammatici. Il livello scese al punto che si potevano raggiungere le isole a piedi. La proliferazione delle piante palustri subacquee rendeva molto difficile la pesca e la navigazione lungo le rive (fig. 10). La caccia agli uccelli acquatici nelle botti all'alto permise a molti pescatori di superare questo periodo difficile: essi guadagnavano più in un fine settimana portando i signori a caccia sul lago aperto che un mese a pesca (Gambini, Marinelli 1994).

Fig. 10 - Durante l'estate, negli anni di massimo abbassamento di livello, lo specchio d'acqua, fino
all'altezza delle isole ed oltre, somigliava ad un prato erboso.

Il Ministero dei lavori pubblici aveva avviato nel 1953 i lavori per l'ampliamento del bacino scolante. Nello stesso tempo cordate economiche e politiche premevano perché il lago fosse prosciugato. Nel documentario dal titolo "Il lago malato" (1956-'57), diretto dal giovane regista Ugo Gregoretti, fu chiesto con forza che anche al Trasimeno fosse adottata la soluzione finale riservata al Fùcino. Gregoretti capì solo molti anni dopo di essere stato raggirato. La moria del pesce fu presentata in toni drammatici. Venne addirittura costruita una scena in cui dei luccetti agonizzavano dibattendosi praticamene all'asciutto (?) sopra dei segmenti di cannuccia che galleggiavano su pochi centimetri d'acqua, mentre il fango sotto di loro ribolliva a causa del carburo che, con sommo studio, vi era stato gettato (fig. 11). Le conclusioni del documentario non lasciano alcun dubbio sulle volontà che agirono per condizionare l'opera del regista. Visionaria è la scena con un aratro che solca il terreno lasciato libero delle acque e di una mano che vi spande il seme (figg. 12 e 13). Le parole del narratore sono chiarissime:

"[…] sotto 4-5 metri di acqua la buona terra aspetta di prosciugarsi per dare i suoi frutti. Meno di 80 anni fa un lago più grande e profondo del Trasimeno venne prosciugato fino all'ultima goccia per ricavarne campi fertilissimi” […] "è pur vero che questo lago, subendo un naturale processo, tende a scomparire e lascia lentamente emergere il tesoro che porta in grembo, un tesoro che oggi 500 pescatori maledicono appena se ne vede affiorare qua e là qualche lembo, ma domani, forse, 5.000 contadini benediranno".

I lavori per l'ampliamento del bacino scolante furono completati nel 1963 con l'adduzione di complessivi 4 torrenti: prima furono deviati la Tresa e il Rio Maggiore, poi il Moiano e il Maranzano.

Fig. 11 - Il carburo fa ribollire l'acqua. Fotogramma da "Il lago malato" di Ugo Gregoretti (1956-'57).
Fig. 12 - L'aratro solca il terreno che il lago ritirandosi ha liberato. Fotogramma da "Il lago malato" di Ugo Gregoretti (1956-'57).
Fig. 13 - Il contadino spande il seme dove prima era il lago. Fotogramma da "Il lago malato" di Ugo Gregoretti (1956-'57).

Nel settembre 1957 il Ministero dei Lavori Pubblici intervenne ufficialmente nominando una "Commissione per lo studio idrogeologico del Trasimeno". Molto significativa fu l'esclusione del Consorzio di bonifica da questa commissione che nell'agosto del 1958 portò a termine l'incarico ricevuto. A conclusione dei lavori, alla presenza del Ministro dei Lavori Pubblici On. dr. Giuseppe Togni, il Presidente di Sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, ing. Giovanni Padoan, presidente della commissione, affermò, senza mezzi termini:

"Per il Lago Trasimeno sembrano ormai così delinearsi le determinanti fondamentali del fenomeno dell'abbassamento del livello: a) in via generale, il nuovo emissario, sottraendo le acque dei periodi pluriennali più piovosi, ha fatto perdere la riserva per i periodi più siccitosi, rompendo l'equilibrio dei livelli del lago, i quali, in mancanza di una adeguata compensazione, tendono a diminuire; b) in via particolare l'eccezionale abbassamento trova riscontro in un'assai più ridotta piovosità nel periodo ottobre-aprile ed in più elevate temperature nel periodo maggio-settembre […]".

La volontà di bonificare le rive del lago sopravvisse anche al suo pieno recupero avvenuto nel corso della prima metà degli anni '60. La "sistemazione" delle gronde del Trasimeno attraverso colmate e dragaggi, scogliere e spiagge, già sostenuta dal Consorzio di bonifica, venne riproposta nel 1969 dall'"Ente Autonomo Bonifica – Irrigazione e Valorizzazione Fondiaria nelle Province di Arezzo – Perugia – Siena e Terni", con un progetto che fu respinto nel 1970 dall'Amministrazione provinciale di Perugia anche perché, oltre ai danni ambientali, avrebbe potuto innescare un processo di privatizzazione delle sponde.

Fig. 14 - Passignano sul Trasimeno (Anni '60 del '900), Foto GIM.

È sempre di quegli anni la pervicace azione rivolta alla distruzione dei canneti attraverso il taglio meccanico (fig. 14 – Foto GIM, Passignano sul Trasimeno) e l'irrorazione di prodotti chimici utilizzando dei velivoli. Molti pescatori si opposero a questi interventi, dannosi per la pesca, e le porzioni di canneto interessate furono abbastanza ridotte. Interventi di bonifica tramite dragaggio e colmata vennero comunque effettuati, ma solo nelle aree prospicienti i centri lacustri. Tra gli anni '60 e gli anni '80 del secolo scorso venne ad esempio completamente bonificata l’insenatura meridionale di Castiglione del Lago (figg. nn. 15-18 - Foto GIM, Passignano sul Trasimeno) creando un'ampia fascia costiera ove è poi sorta una nuova viabilità con strutture turistiche e di servizio. Altrettanto nel corso degli anni '60 fu completamente bonificata l'area costiera paludosa ad est di Passignano ove sono poi sorte la darsena dell'Amministrazione provinciale di Perugia e altre strutture turistiche e di servizio (figg. n. 19 e 20 – Foto GIM, Passignano sul Trasimeno). Se le sponde del lago fossero state "normalizzate" eliminando completamente i canneti e creando fondale lungo le rive, il Trasimeno avrebbe perduto le sue caratteristiche ambientali. È proprio grazie al rigoglio della vegetazione emersa e sommersa che le sue acque vengono ossigenate e il lago riesce a sopravvivere, pur con le sue molte criticità, garantendo un ambiente ancora idoneo alla vita della fauna ittica e dell'avifauna.

Fig. 15 - Bonificata tramite dreanaggio dell’insenatura meridionale di Castiglione del Lago, Foto GIM, Passignano sul Trasimeno.
Fig. 16 - Bonificata tramite dreanaggio dell’insenatura meridionale di Castiglione del Lago, Foto GIM, Passignano sul Trasimeno.
Fig. 17 - Bonificata tramite dreanaggio dell’insenatura meridionale di Castiglione del Lago, Foto GIM, Passignano sul Trasimeno.
Fig. 18 - Bonificata tramite dreanaggio dell’insenatura meridionale di Castiglione del Lago, Foto GIM, Passignano sul Trasimeno.

Il Trasimeno, grazie all'ampliamento del bacino scolante, tornò sopra la soglia dell'emissario e ritrovò, dopo vari decenni, un certo equilibrio di livello superando indenne la crisi di abbassamento degli anni '70 (fig. 5). Questo equilibrio, purtroppo, fu nuovamente rotto sul finire degli anni '80. Inizialmente venne consentito di prelevare, per 2 anni, direttamente dal lago, l'acqua necessaria all'irrigazione dei terreni del suo bacino, in attesa che giungessero al Trasimeno le condotte provenienti dal bacino artificiale di Montedoglio, ottenuto sbarrando il corso del Fiume Tevere a Nord di S. Sepolcro. In realtà l'opera di adduzione è stata completata solo recentemente e il prelievo dell'acqua del Trasimeno per l'irrigazione continuò a pieno regime per almeno 15 anni senza che fossero raggiunti obiettivi di miglioramento della qualità delle produzioni agrarie in gran parte limitate al granoturco.

Fig. 19 - Area costiera paludosa ad est di Passignano (1958), Foto GIM, Passignano sul Trasimeno.
Fig. 20 - Area costiera ad est di Passignano (1973), Foto GIM, Passignano sul Trasimeno.

Ignorando la natura stessa di questo grande lago laminare, questa scelta in continuità con l'impostazione strumentale di gestione coniata nel corso del Sette-Ottocento, ha creato i presupposti per una nuova crisi di abbassamento di livello, che puntualmente si è verificata, a partire dal 1989, in concomitanza con una riduzione del regime medio delle precipitazioni. Si è perduto il controllo del bilancio idrologico del Trasimeno: sono stati sottostimati i valori reali del consumo degli impianti di pompaggio dell'ESAU e altrettanto ignoti sono rimasti i valori della evapo-traspirazione nei terreni coltivati e quelli relativi all'emungimento in falda. Nell'ottobre del 2003 è stata raggiunta la quota di -1,84 m rispetto allo zero dell'idrometro di S. Savino (m 257,33 s. l. m.), con una perdita di quasi un terzo del volume d'acqua presente nel bacino rispetto ai livelli medi programmati (figg. 21-23).

Fig. 21 - Effetti dell'abbassamento del livello del Trasimeno nel 2003.
Fig. 22 - Effetti dell'abbassamento del livello del Trasimeno nel 2003.
Fig. 23 - Effetti dell'abbassamento del livello del Trasimeno nel 2003.

Con l'abbassamento dei livelli del lago si è assistito nuovamente al fenomeno di occupazione delle rive naturali da parte dei frontisti. In alcuni ambiti -per fortuna abbastanza circoscritti- si è proceduto ad estirpare e ad interrare i canneti ormai all'asciutto, sia mediante arature meccaniche, sia purtroppo con riporti di terra e pietre. Ciò ha determinato, nei tratti costieri interessati, un cambiamento delle pendenze naturali con la creazione di un gradino insormontabile alle acque, allo scopo di consolidare, a spese del lago, le conquiste avvenute e i nuovi raccolti (figg. 24-25). In realtà, quindi, quelle colmate che la Provincia di Perugia riuscì a bloccare nel 1970 in parte sono state realizzate senza tuttavia portare alla creazione di fondale lungo le rive. Anzi, su questi sbarramenti insormontabili alle acque si sono accumulati ammassi vegetali e animali in decomposizione.

Fig. 24 - Cambiamento delle pendenze nei tratti costieri con la creazione di un gradino.
Fig. 25 - Distruzione del canneto.

Nel corso dei anni '80 i rigogliosi canneti del Trasimeno hanno iniziato a diradarsi e a ridursi. Tra le cause certamente uno "strano" fenomeno, ancora oggi oggetto di studio, che ha provocato effetti analoghi in molte delle zone umide del nostro continente. A rompere l'equilibrio nella fascia palustre intorno al 1980 sono arrivati i primi esemplari di nutria o castorino (un roditore della specie Myocastor coypus, Molina, 1782), liberati o liberatisi da alcuni allevamenti presenti in Valdichiana. Questi animali, originari del Sud America, non avendo predatori in loco ed essendo molto prolifici, hanno infestato in breve tutto il perimetro del lago provocando danni ingenti alla vegetazione palustre. Nel volgere di pochi anni hanno letteralmente eliminato dalla fascia spondale del Trasimeno le varie specie di typha ivi presenti cibandosi delle parti inferiori del fusto e degli apparati radicali. In particolare la Typha latifolia creava in molti ambiti delle vere e proprie barriere contro il moto ondoso permettendo che prosperassero all'interno dei canneti particolari specie di piante palustri, come ad esempio la ninfea bianca (Nymphaea alba) che creava nei chiari interni delle colonie persino di centinaia di esemplari. Solo durante la grande gelata del 1985 questi animali ebbero a soffrire, anche a causa della caccia a cui furono soggetti. L'Amministrazione provinciale di Perugia negli anni seguenti fece apporre molte trappole per catturare questi animali, pericolosi per l'equilibrio ambientale. Il loro continuo vagare alla ricerca di cibo provocava anche l'abbandono delle cove da parte dei rallidi. Il numero di questi animali è tutt'ora consistente e andrebbe tenuto sotto controllo.

Sono stati effettuati alcuni anni or sono, da parte della Provincia di Perugia, degli interventi sperimentali di taglio e ripulitura di un tratto di canneto presso le località di Torricella e di S. Arcangelo. I risultati sono stati incoraggianti. Con il coinvolgimento scientifico della Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Perugia, si è proceduto, in particolare, a sperimentare varie tecniche di intervento: bruciatura, taglio al di sopra del pelo dell'acqua, taglio al di sotto del pelo dell'acqua, estirpazione e asportazione dei materiali organici presenti sul bagnasciuga. Purtroppo i risultati finali dell'indagine scientifica non sono stati pubblicati. Un intervento del genere, lungo tutte le rive naturali del lago, sarebbe certo auspicabile anche se molto oneroso. Si dovrebbe inoltre tendere a ricostituire le pendenze originarie della sponda. Ciò permetterebbe alle acque di oscillare in una superficie più ampia facilitando così la ripulitura naturale estiva e il taglio stagionale del canneto, come avveniva sino a 30 anni fa ad opera dei pescatori che ricavavano profitto in inverno dalla vendita dei fasci di canna alle aziende dedite alla realizzazione delle stuoie. La ripulitura dei canneti, oggi infestati da rovi, arbusti e piante di alto fusto, dovrebbe essere praticata in modo razionale, nel rispetto dei tempi e dei modi che da molti secoli le norme e le consuetudini ci hanno consegnato (Polimanti 1931). Basta controllare le foto degli anni Cinquanta del canneto della Valle di S. Savino per verificare come in inverno era tagliato il fragmiteto che non aveva al suo interno nessun albero: le pianticelle che crescevano venivano estirpate per rimuovere ogni ostacolo alla circolazione dell'acqua; occorre avere solo un poco di memoria per ricordare come fosse curata la fascia spondale del lago dai pescatori che tagliavano canali perpendicolari (cainóni e cainoncini) e paralleli (stradóni e strade) alla riva per disporre reti per i lucci, tofi e martavèlli.

Occorre trovare oggi soluzioni economicamente sostenibili per compiere queste opere di manutenzione che da 3 decenni non si fanno più. In tempi recenti si è ritenuto fosse preferibile lasciare le rive del lago a se stesse. Questa specie di sperimentazione può dirsi ormai conclusa. I risultati sono chiari a tutti: senza regole e senza cure e senza più la categoria dei pescatori, le rive del lago sono state occupate in parte dai frontisti che hanno attaccato il canneto da terra nella sua parte più vigorosa indebolendolo. Durante questo lungo periodo di abbassamento di livello delle acque la fascia spondale poteva essere più facilmente ripulita, invece è stata completamente abbandonata divenendo una "foresta inestricabile", maleodorante e putrida, terreno di conquista per volpi, cinghiali, nutrie e cornacchie (figg. 26-27, estate 2012).

Fig. 26 - Tratto costiero del Trasimeno nell'estate 2012.
Fig. 27 - Tratto costiero del Trasimeno nell'estate 2012.

La fascia spondale del Trasimeno, nonostante la recente crescita del livello delle acque, versa in condizioni molto critiche. Gli alberi di alto fusto, cresciuti all'asciutto, sono stati raggiunti dal lago in risalita: molti di loro sono morti e i loro rami spezzati stanno cadendo in acqua contribuendo a rendere certi ambiti inaccessibili (fig. 28, inverno 2014). I fondali presentano strati notevoli di materiali organici in decomposizione che soffocano le tipiche specie palustri. In ampi tratti della riva le canne stentano a vivere e addirittura si sono seccate completamente senza più germogliare (fig. 29, inverno 2014). La riproduzione del pesce in queste condizioni è molto difficile, in particolare quella del luccio, un tempo molto abbondante e spettacolare.

Fig. 28 - Lo stesso tratto costiero del lago, riprodotto nella figura precedente, in una foto recente.
Fig. 29 - Una delle tante zone di canneto che di recente si è seccata completamente.

Non è questa la sede per approfondire l'argomento nei suoi aspetti tecnici, ma è ovvio che occorra affrontare prima possibile il problema della manutenzione delle rive del lago. Sarebbe un investimento di cui beneficerebbe finalmente l'ambiente lacustre e, quindi, di conseguenza la pesca professionale e il turismo. Occorre non spaventarsi per l'impresa, ma senza più indugio saperla programmare con il concorso di soggetti privati e pubblici, e il supporto di uno studio scientifico serio e ardito. Il problema deve essere affrontato -a mio avviso- trasformandolo in un'opportunità di sviluppo per l'economia locale, cercando di attrarre anche finanziamenti della Comunità Europea. Le biomasse vegetali (piante sommerse ed emerse), in particolare i canneti, sono riproducibili di anno in anno e possono essere sottratte al lago in modo razionale, al momento opportuno, senza causare alcun danno, come è sempre avvenuto. Se si riuscirà gradualmente a rinnovare la vegetazione spondale ripulendo i fondali dai materiali organici in eccesso, i benefici saranno certi e plurimi. Se non si provvederà ci aspetta invece, come abbiamo visto, un processo di degrado che porterà ad un rapido peggioramento delle già difficili condizioni generali dell'ambiente lacustre spondale con le conseguenze immaginabili anche a livello economico.

Una possibile strada, di cui -a mio avviso- sarebbe opportuno verificare la percorribilità, passerebbe per la realizzazione di 1 o 2 impianti a biomasse, di adeguate proporzioni e caratteristiche. Il loro funzionamento potrebbe essere garantito nel periodo invernale dai materiali vegetali provenienti dalle rive del lago e dalle potature dei terreni del bacino. Lungo la fascia demaniale potrebbero essere realizzati, in collegamento con questi impianti, dei laghetti per l'allevamento del pesce (sul tipo di quelli del Centro Ittiogenico del Trasimeno) da riscaldare in inverno con l'acqua calda prodotta che potrebbe raggiungere anche delle serre per la produzione di primizie. Si creerebbe così un sistema integrato a beneficio dell'ambiente, della pesca e dell'agricoltura.

Se non si tornerà ad investire nel settore della pesca professionale in tempi rapidi, nei prossimi anni questa attività diventerà sempre più marginale: si chiuderà di fatto un comparto produttivo di tradizione plurimillenaria che ancora nei primi anni Sessanta del secolo scorso contava circa 500 addetti (oggi i pescatori professionisti sono ridotti a 50).

Per sostenere con linfa vitale questa antica professione così importante per la vita e l'economia del lago è necessario uscire dal vincolo della sola pesca di cattura -che certo offre un prodotto di maggiore qualità, ma è legata alle stagioni, al vento, al ciclo lunare …- aggiungendo una ulteriore produzione ittica, con impianti di pescicoltura in grado di allevare grandi quantità di pesce, della taglia giusta, a prezzi competitivi, durante tutto l'anno. In definitiva questo tipo di prodotto, presente nella nostra rete di distribuzione, viene molto spesso importato. Credo sia più logico produrlo a casa nostra, con maggiori garanzie. Questa scelta favorirebbe certamente l'ingresso di una nuova generazione di operatori, con salari sicuri e orari di lavoro simili a quelli di un operaio.

Per raggiungere questi obiettivi soggetti privati e pubblici dovranno tornare ad investire come un tempo nella pesca professionale: con una produzione ittica finalmente sufficiente e garantita sarà possibile far riferimento ad una piccola industria di trasformazione in grado di offrire una varietà di proposte per una distribuzione più ampia che giustifichi gli investimenti. L'apporto che il Centro Ittiogenico della Provincia di Perugia potrebbe offrire a questa iniziativa sarebbe certo molto importante. Oggi le specie ittiche del nostro lago si trovano raramente nei supermercati della zona ove è invece presente pesce di acqua dolce di allevamento, spesso proveniente dall'estero. Un'esigua quantità di prodotto fresco ed elaborato, idoneo al commercio e di ottima qualità, è disponibile solo a S. Feliciano presso la Cooperativa Pescatori.

Credo sia interessante rammentare, a questo proposito, che nel 1970, quando i pescatori era 432, organizzati in 9 cooperative, il Trasimeno produceva 16.000 q di pesce di cattura, il 27,4% di tutto il pescato delle acque interne italiane (dati ISTAT). Fu pensato, con il progetto FEOCA, finanziato dalla CEE, di realizzare anche 4 impianti di pescicoltura, gestiti dalle cooperative dei pescatori locali, che avrebbero garantito altri 8.000 q di pesce all'anno (Bucaneve 1978, pp. 143-146). Invece la strada seguita fu quella di sfruttare al massimo il patrimonio ittico del lago aumentando il ruolo della pesca di cattura, utilizzando migliaia di grandi tofóni (cogolli) senza più adeguati controlli, ristorando le perdite con l'apporto degli avannotti prodotti dal Centro Ittiogenico del Trasimeno che solo fu realizzato. Questa non fu probabilmente una scelta lungimirante. In queste trappole micidiali a maglie molto fitte penetrava e moriva la bruglia del lago, quel pesce giovane che un tempo veniva tanto curato e protetto. In quegli anni si era avvicinata al progetto anche la Montedison Agricoltura S.p.A.; poteva avviarsi già negli anni Settanta una proficua collaborazione con le cooperative dei pescatori del lago che avrebbe favorito la trasformazione, promozione e commercializzazione su scala più ampia del prodotto ittico del Trasimeno. Le potenzialità di oggi sono inferiori ad allora, ma ritornare a pensare più in grande è possibile visto che i nostri prodotti non hanno niente da invidiare a quelli che si trovano in commercio e c'è tanto bisogno di lavoro e di idee vincenti.

Uno dei problemi più seri da affrontare -oltre quelli già ricordati- è certamente quello dello smaltimento dei reflui degli impianti zootecnici. Nel bacino del Trasimeno viene ancora utilizzata la fertirrigazione, un metodo molto pericoloso per la salute dell'uomo e del lago. Molti pozzi sono stati inquinati da questi liquami che percolano nel terreno e penetrano nelle falde acquifere; molte volte, spesso in coincidenza con copiose precipitazioni, si è riscontrato che i laghetti di stoccaggio dei reflui vengono aperti e, attraverso i canali di scolo, insieme alle acque piovane questi liquami maleodoranti raggiungono il lago provocando una moria di pesci alla foce dei torrenti. Da molti anni ormai sono stati sperimentati con successo altri metodi di smaltimento dei reflui: mi riferisco in particolare al metodo dello stoccaggio solido e a quello della fitodepurazione. I danni che questi allevamenti e l'agricoltura chimica provocano al lago sono oggi solo in parte percepiti.

Gli impianti di smaltimenti dei reflui degli scarichi civili, pur presenti in tutto il bacino del Trasimeno, hanno bisogno di continuo controllo e manutenzione. Quando il loro funzionamento è anomalo anche questi liquami prendono la via del lago.

I limi torbosi presenti lungo le rive fino a pochi anni fa erano estratti durante i dragaggi compiuti per creare fondale nelle aree portuali e prospicienti gli impianti turistici, e andavano a finire anche su terreni che poi venivano messi a coltura. In questi fanghi sono stati rinvenuti metalli pesanti ed altre sostanze tossiche, pericolose per la salute. Da alcuni anni questi interventi sono stati proibiti. I dragaggi compiuti rilasciando i reflui sul fondale lacustre hanno determinato la movimentazione di enormi quantità di fanghi con danni notevoli in alcune insenature, come quella di Borghetto. Occorre affrontare con più attenzione anche questo problema cercando intanto di conoscerne meglio le cause e la localizzazione.

Vorrei chiudere questo mio intervento con un richiamo alle sane regole di gestione di questo ambiente particolarissimo che, come abbiamo visto, non possono essere disattese a lungo. Il mondo è cambiato, ma quali siano le regole di buona gestione e quali le azioni da evitare nel lago e intorno ad esso deve tornare ad essere chiaro a tutti. Altro invito che voglio lanciare è quello al coraggio delle idee, ovvero alla necessità di affrontare con nuove soluzioni le vecchie e le nuove problematiche legate a questo ambiente, soprattutto nel caso in cui a livello storico, tecnico ed economico queste idee possono avere un fondamento. Il futuro di questo territorio passa certamente per un progetto integrato ambiente-impresa che solo può garantire il recupero e la valorizzazione delle sue specificità.

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3 commenti:

  1. il convegno è stato molto interessante, è auspicabile che vengano organizzati altri incontri per far conoscere le problematiche a tutti e per trovare soluzioni adeguate da parte di chi può prendere decisioni importanti in merito

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  2. Un lavoro di ricerca molto approfondito complimenti all'autore e anche a voi

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