venerdì 15 giugno 2012

Gastronomia ittiologica della seconda metà dell'800

di Giovanni Cetti

Quelli fra i mortali, che il caso volle nascessero fra le dovizie, fra i comodi e gli agi della vita, e figli privilegiati di Adamo non fossero condannati a sudare un tozzo di pane, in ogni tempo ed in ogni paese sempre posero cura, e pensiero nel soddisfare ai piaceri dei sensi, fra i quali non ultimo fu il palato. Da ciò venne che l’arte culinaria fin dall’antichità fosse tenuta in gran pregio, e la speranza di larghe retribuzioni, e la stima in cui erano tenuti i cultori di essi, fossero stimolo a molti di dedicarvisi a tutt’uomo.



Gli animali domestici e i selvatici della foresta, ¡ garruli abitanti dell’aria e i muti abitatori delle acque, gli erbaggi dell’orto e ¡ vegetali delle più lontane regioni, i minerali, e infine gli svariati prodotti dei tre regni della natura, tutti vennero dai gastronomo messi a contribuzione per l’arte sua. Egli ne esaminò la chimica composizione, ne studiò i diversi sapori, e dopo molteplici esperimenti, scoprì quali diverse combinazioni, quali diverse dosi fossero necessarie per comporre soavi intingoli, e manicaretti delicati al gusto.

Fra tutte le variate sostanze alimentari certo non l’ultimo posto occupa la carne del pesce, né solo del pesce marino, ma pur anco di quello che vive nell’acqua dolce. Nei sontuosi banchetti degli antichi Romani, il pesce era tenuto io grande onore, ed in una cena data all’imperatore Vitellio da suo fratello vennero serviti duemila dei più scelti pesci. A quei tempi ¡ cuochi sapevano prepararli con mille differenti saporite salse, e ammannirli sotto forma d’altri animali e nelle foggie le più bizzarre.

Oggidì pure il pesce sovente viene assunto all’onore della mensa del ricco, sovente posa sulla panca del povero, e mentre l’uno lo ciba per puro lusso, l’altro di esso si contenta sia per mancanza di miglior companatico, sia per soddisfare ad una religiosa ingiunzione. L’alternativa e la varietà dei cibi è comprovato dall’igiene essere assai propizia anzi necessaria alla miglior nutrizione ed alla salute dell’uomo.

Non è mia intenzione dar un trattato di gastronomia: molti volumi vennero scritti in tal materia da persone esperte nell’arte, e a quelli può facilmente attingere chiunque desidera più estese cognizioni; io qui esporrò brevemente alcuni cenni sui principali pesci dei Lario, e sulle maniere più usitate per cucinarli.

Ben cucinati i nostri pesci sono tutti saporiti a mangiarsi, sì che il toscano Minozzi fin dal 1658 scriveva, che la copia e la squisitezza del pesci rendeva fra noi desiderabili le vigilie, e piacevoli i digiuni, e parervi carnevali le quadragesime.

In generale il pesce è migliore appena levato dall’acqua; poiché le sue carni tenere e delicate di leggeri si corrompono. Quando il pesce è fresco, le branchie, dette comunemente orecchie, sono di un color rosso vivo, e le carni del corpo ben distese e non floscie. Prima di cucinano si pulisce esternamente levandone le squamme col filo di uni coltello, e si estraggono le interiora per mezzo di un taglio longitudinale nel ventre.

Per trinciare il pesce a tavola non si serve del coltello, perché il ferro gli comunica un cattivo gusto, ma si adopera una cazzuola od un cucchiaio di argento. Anzi tutto si tronca la testa, che si divide; poscia si fende il corpo nella schiena, gli si leva la spina e si suddivide in pezzi. Il pesce produce in chi lo mangia in abbondanza un sopore, una sonnolenza derivante da non so quali principii narcotici contenuti nello sue carni.

Agone

Di tutti ¡ pesci del Lario il migliore è fuor di dubbio l’agone, il quale è altresì il più frequente e delicato di quanti pesci vivono nei molti laghi di Lombardia e forse d’Italia. Varii antichi scrittori ne tessero gli elogi, ed i lariensi tuttodì ne cantano le lodi e ne menano vanto: ed invero chiunque sia dotato di fino palato non può dar torto né agli uni, né agli altri.

L’agone del Lario è più piccolo di quello degli altri laghi, non oltrepassando comunemente la grossezza di 90 grammi; chiamasi anche anlesino, se pesa 15 o 20 grammi o poco più. Dicesi magro al tempo della frega, grasso in autunno ed in inverno, e quest’ultimo è migliore a mangiarsi.
Prima di cucinano si vuota internamente estraendone le interiora. Contiene una piccola spina fornita di lische sottilissime ed innocue. Cotto in qualsiasi maniera, purché sia fresco, è cibo eccellente e facile a digerirsi.

Si cuoce con erba salvia, o si frigge all’olio ed al burro. Fritto si può carpionare e conservasi parecchi giorni. Il modo più lodato per cuocerlo si è alla barcaiuola, cioè ponendolo alla gratella ancor boccheggiante e lottante colla morte. Questo nome derivò dal cucinano nella stessa barca dei pescatori in cui vien preso.

Anche colle curadure, ossia interiora, si fa un ghiotto manicaretto, appetito sovratutto dai bevitori. I missollini, ossia gli agoni salati e disseccati al sole, servono di companatico principalmente ai nostri litorani nelle vigilie quaresimali. Si cuociono sulle bragie e si mangiano con qualche salsa piccante. In certe circostanze potrebbero tener le veci delle acciughe (vulg. incioda).

Anguilla

Grande è il commercio che si fa dell’anguilla principalmente marinata: da noi si vende solamente fresca. L’anguilla vive molto tempo fuor d’ acqua. Prima di cuocerla le si toglie la pelle, se questa è molto grossa, ma se è piccola la si pulisce solamente.

Per levare la pelle, la si taglia in cerchio vicino alla testa, poscia con un pannolino si rovescia, e la si estrae intiera. Serve questa a vari usi nelle arti. Se le anguille sono piccole, per pulirne la pelle si prendono delle foglie di fico, e con esse strette nella mano reiteratamente si sfrega la pelle col rovescio della foglia, oppure si scotta nell’acqua bollente o sopra le bragie, indi si raschia col filo di un coltello. In breve le si toglie tutto quel viscidume di cui è ricoperta.

Squisita è la carne dell’anguilla, ma atteso la sua ordinaria pinguedine a certi stomaci ne torna difficile la digestione. Per levare il grasso delle sue carni, prima di cuocerla la si fa girare sopra la bragia, e se ne fa sgocciolare l’unto, poscia la si immerge per alcuni minuti nell’ acqua tiepida. Si serve caldissima, perché fredda è nauseante, insipida ed indigesta. Le anguille nel nostro lago sono abbondanti, ma piuttosto piccole, toccando raramente i tre chilogrammi. Se l’anguilla è grossa, il miglior modo di cucinarla è allo spiedo. Si sala, si affumica, friggesi al burro, e cuocesi pure alla gratella, ai legumi, alla marinala, alla piemontese, alla milanese, in fricandò, allo stecco ed in cento altri modi, ma troppo lungo sarebbe il dire di tutti (1).

Barbio

Per antiche disposizioni comunali, i pescivendoli non potevano portare il barbio sul mercato entro la nostra città, prima di averne cavate le uova, ritenendosi queste velenose. Alcuni Naturalisti si opposero a questa antica credenza, e Block narra persino averne mangiato egli e tutta la sua famiglia, senza che alcuno ne avesse a provare male di sorta. Sarà ciò vero, ma siccome è pur certo essere avvenuti fra noi degli avvelenamenti ¡n chi mangiò quelle sciagurate uova, così prudenza vuole, che non se ne faccia uso, ne si arrischi la vita ad un’eccezione od a particolari circostanze.

II barbio è pesce di carni poco pregevoli, sì che fra noi evvi il proverbio che el barb l’è minga bon ne frègg ne cald. Cuocesi alla graticola, al burro, ¡n bianco, in istuffato, ed ¡n altre maniere.

Bottatrice

La bottatrice ha carni tenerissime, ed è tanto più squisita, quanto più è grossa. Fino dai tempi del Giovio, il latte ed il fegato erano stimate le parti migliori. Si frigge all’olio, al burro, con legumi, ecc.

Carpione

È questo uno dei pesci più grossi dei nostro lago. Per il passato veniva pescato in gran quantità, ma al presente, non so per qual cagione, è divenuto assai raro. Ha carni squisite e la testa è la parte più ricercata dai ghiottoni perché contiene la lingua. Il latte offre un cibo delicato e gli si attribuisce la virtù di rendere la salute agli etici. Levate le squamme, si sopprimono le pinne e l’estremità della coda, e lo si svuota internamente facendovi un taglio il più piccolo possibile. Cuocesi al bleu, in stuffato, alla veneziana, a lesso, alla marinaia, all’allemanda, alla guelfa, ecc. Coi filetti si fa eccellente frittura.

Luccio

Il luccio è forse l’unico pesce fra noi che mangiato fresco è piuttosto insipido; diviene migliore lasciandolo riposare un ventiquattro ore. È uno dei pesci più grossi del lago. Il fegato è molto stimato, le uova credonsi purgative, ma in alcune circostanze anche nocevoli. Cuocesi in bianco, al sugo, alla montanara, alla S. Lorenzo, ai legumi, allo spiedo, in fricassé, ecc. Si fa pure ripieno, in filetti fritti, ed in polpettine.

Pesce-persico

È sempre un pesce di carni squisite e delicate, ma è migliore dopo la frègola, e più facile a digerirsi. Contiene molte acute lische, per cui richiede pazienza e riguardi nel mangiarlo. I filetti sono un cibo eccellente ed ottimo per convalescenti. Si cuoce alla graticola, al vino, alla pescatora, al burro, all’olio, ecc.

Tinca

Squisita è la carne della tinca (2). Per pulirne la pelle si strofina sopra un muro ruvido, ovvero si scotta con un ferro rovente, e poscia si pulisce con un coltello. Si cuoce in varie maniere, a lesso, alla peschereccia, alla graticola, ai legumi, e si frigge all’olio ed al burro. La tinca poi è eccellente carpionata, principalmente nella stagione estiva, conservandosi parecchi giorni.

Trota

È uno dei pesci più grossi che vivano nel nostro lago. Quella di flume è di una specie più piccola, ma forse più saporita, benché eccellente sia pure la nostra. Si mangia freschissima. Cuocesi principalmente in bianco, ma è squisita anche ¡n altri modi, come alla pescatora, alla .giardiniera, alla providenza, alla maggiordomo, fritta, con tartuffi, alla veneziana, alla genovese, ecc.

Altri pesci

Il pigo ha carni squisite ed è migliore quanto più è grosso, e può stare al paragone di qualsiasi altro pesce d’acqua dolce.

Il cavedano ha carni piuttosto insipide e seminate di lische. L’alborella è buonissima sovratutto prima della frega.

Degli altri minuti pesci, benché taluno abbia buone carni, non se ne fa grande uso, atteso la loro piccola quantità. Generalmente si friggono, e servono a preparare eccellente sugo.
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 (1) L’anguilla era fra i pesci che la legge Ebraica interdiceva al suo popolo. La legislazione di Numa vietava di servirsene nei sacrifici sulle are degli Dei.
 (2) La superstizione dei secoli andati attribuiva a questo pesce rare virtù medicinali. Credeasi che fatta a pezzi e posta sotto la pianta dei piedi scacciasse la febbre; applicata viva alla fronte guarisse l’emicrania; attaccata alla nuca calmasse l’infiammazione degli occhi; messa sul ventre facesse sparire l’itterizia, e che il suo fiele distruggesse i vermi nei bambini, e che perfino gli altri pesci guarissero le loro ferite sfregandosi contro il viscidume, di cui ha ricoperta la pelle.

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  • Questo brano è tratto dal volume dell’Ing. Giovanni Cetti, Il pescatore del Lario, descrizione delle reti e dei vari generi di pesca in uso sul lago di Como. Pubblicato a Como, pubblicato a Como nel 1862, dagli editori Carlo e Felice Ostinelli, pp. 135-143.

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